Bologna 9 luglio 2022 ore 21.00: va in scena lo spettacolo che ha debuttato lo scorso anno a Castiglione di Ravenna e che ora si avvia a riprendere il suo percorso. Si tratta di “L’attesa – Anita Garibaldi: morte e vita di una regina”. Nel 140° anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi, sono onorata di poter scrivere queste note per Camicia Rossa, a seguito della felice rappresentazione del 9 luglio nella bellissima cornice di piazza San Francesco a Bologna,
La serata è stata splendida e carica di patos, ma senza mai scadere nell’affettazione storico-retorica, grazie alla sapiente regia di Emanuele Montagna ed alla performante e mirabile interpretazione di Asia Galeotti, che ha consentito di immergerci con naturalezza nonché grande emozione nel vortice della vita straordinaria, partecipe e tragica di Anita. Poiché, come è noto, eravamo nel bicentenario della nascita dell’eroina ed in virtù di una bella collaborazione con l’Istituto di Cultura di Rio de Janeiro e con quello di San Paolo, lo stesso spettacolo, per così dire, “è partito” per il Brasile, andando in scena proprio a Laguna, città natale di Anita, anche in lingua portoghese. Tutto questo è per me un grande onore.
Il mio avvicinamento alla figura ed alle vicende di Ana de Jesus Ribeiro da Silva è il frutto dell’intreccio di molteplici circostanze apparentemente casuali e ciò che ha consentito il tradursi di tali intrecci in eventi a forte carattere culturale è stata la lungimiranza di chi da sempre si fa custode e valorizzatore della memoria di Anita Garibaldi.
In questo senso, la Fondazione Ravenna Risorgimento, col decisivo interessamento di Eugenio Fusignani, Vice Sindaco di Ravenna e Presidente della Fondazione stessa, è stata non solo ente promotore di una grande operazione a carattere culturale, ma anche luogo istituzionale di legittimazione: perché questo territorio, le sue genti e le sue istituzioni hanno voluto proteggere, sin da subito, con intento amorevole e costruttivo, la storia di Anita, intuendone quei tratti universali che obbligano ad una attenzione e trasmissione di tipo storico, culturale e trans-generazionale.
Nella fiammata meteorica di una breve ed epica esistenza, sono sicuramente le ultime e terribili ore che precedono e seguono la morte di Anita alle Mandriole, a rappresentare ciò che maggiormente colpisce la nostra immaginazione. Ancor di più, il lungo e tortuoso dipanarsi nello spazio e nel tempo delle sue esequie: dal 4 agosto 1849 al 4 giugno del 1932, giorno dell’inaugurazione della statua equestre che ne custodisce le spoglie al Gianicolo a Roma.
Anita è figura storica, sì, ma contemporaneamente avvolta da una sorta di mistero (aspetto che crea una frizione inevitabile dal punto di vista storiografico), per la mancanza di notizie precise sulla sua vita in Brasile, prima e dopo l’incontro con Garibaldi. Per esempio, non sappiamo molto del primo matrimonio, a cui lei viene precocemente destinata per circostanziali necessità economiche della famiglia.
C’è da dire che lo stesso Garibaldi protegge, sin da subito ed a più riprese, l’immagine pubblica della sua compagna, sottraendola ad interessamenti esterni. Atteggiamento questo che si rafforza, ovviamente, a seguito della tragica fine di Anita alle Mandriole e che investe, capillarmente ed a cascata, tutta la serie di personaggi che lo circondano (basti ricordare l’approccio prudente, ammirato e timoroso di un Giuseppe Bandi, da lui stesso testimoniato nel suo libro su Anita).
Non è, però, solo questa la “cortina nebbiosa” che la avvolge, a determinare una potente funzione mitico-attrattiva; sono altri gli elementi, per molti aspetti oserei dire urgenti, per noi, gente così distratta e depauperata dei sogni.
Ad esempio, il rapporto di Anita con la natura ha un che di “costitutivo”; infatti, il tema del suo approccio naturale all’acqua, all’immergersi nel mare con profitto generativo di mente e corpo, ci pone al cospetto di un essere percettivo e restitutivo nel senso più alto e nobile del termine.
Forse quasi due secoli di mitografia risorgimentale e garibaldina ci portano ad avvicinarci a questa figura muliebre con una lente sempre poetica, ma satura di stratificazioni storico-politiche.
Ciò induce ad un certo automatismo, nel considerare quasi ovvie le sue scelte controcorrente ed anticonformiste. Dovrebbe, invece, venirci il dubbio che non fosse assolutamente scontato né che una giovanissima donna già sposata, (innamorandosi di uno straniero, sia pure leader carismatico) optasse per mettersi contro tutti i pregiudizi dell’epoca ed iniziare con lui un nuovo ciclo di vita, né che addirittura scegliesse di affiancarlo prendendo parte, in prima persona, alla lotta per l’indipendenza della sua terra.
In sintesi, vogliamo indicare un percorso di lettura che restituisca alla donna-Anita, umana poliedricità, innato slancio vitale e precoce autodeterminazione, non trascurando il fatto che siamo tra il Santa Catarina del Brasile e l’Uruguay del periodo che va dal 1838 al 1848 (anno in cui la coppia lascia le Americhe). Anita approfitta genialmente, cairologicamente, di questo grande ed inaspettato evento che è l’incontro con Giuseppe Garibaldi e per così dire può ri-prendere in mano la sua vita ribaltandola. Lei afferra prodigiosamente ciò che le viene offerto, ne assume dentro di sé il significato, se ne appropria e con grande coraggio ed intelligenza, ne determina giorno dopo giorno il valore aggiunto.
Il caro augurio che vorrei esprimere a tutti noi, non è solo quello di contribuire coralmente alla trasmissione della memoria di Anita ma, soprattutto, di far sì che se ne possa contestualmente comprendere la portata rivoluzionaria, che va ben oltre la questione della libertà materiale o dell’emancipazione attraverso la conquista di sacrosanti diritti.
Anita è una pietra preziosa nella storia del nostro Risorgimento e la sua luce può arricchire di nuove sfumature la percezione della nostra stessa identità di donne e di uomini del 21° secolo.
E’ stata una fiammata nel nostro firmamento storico, una meteora il cui riverbero brilla ancora, grazie a coloro che da sempre si prodigano per “mantenerne a terra le braci accese”.
Valeria Magrini